Il SISDE spiava Berlinguer

di PIERO COLAPRICO e LUCA FAZZO


IL SISDE SPIAVA BERLINGUER

La Repubblica – Venerdì, 6 ottobre 1995 – pagina 9

Il fascicolo sul segretario comunista risale all’84. Filmati e fotografati anche altri dirigenti. Nell’ufficio di Craxi le prove dei dossier sul Pci – Tra le carte anche un appunto su Franco Marini – Davigo interroga il massone Di Bernardo

MILANO – Spiavano Berlinguer. Spiavano alcuni uomini di vertice del Pci, come Adalberto Minucci, responsabile dell’ informazione del partito; Antonio Tatò, alter-ego dell’ allora segretario; il senatore Ugo Pecchioli; Gianni Carbone, amministratore del quotidiano Paese sera.

Gli spioni di Stato, quasi certamente del Sisde, li hanno filmati e fotografati, hanno fotografato alcuni incontri di uomini del Pci in un parco romano, hanno segnalato di avere a disposizione ex comunisti “disposti a parlare”, aggiungendo che uno di questi “cerca un posto di lavoro”.

Foto e film non si trovano nell’ ufficio romano di Bettino Craxi, l’appunto che ne parla indica che le immagini sono a disposizione di un agente. E questo appunto compare negli archivi che la Digos e il pm Paolo Ielo hanno sequestrato nella sede della Giovine Italia, a Roma, nei dossier dell’ ex segretario del Psi: il quale non smentisce nulla (come potrebbe?), ma querela giornali e protesta per la fuga di notizie, che ritiene pilotata.

Se lo spionaggio ai danni di Enrico Berlinguer, il più popolare dei segretari del Pci, risale a oltre dieci anni fa, un altro dei misteriosi appunti conservati in patria dall’ex leader socialista offre al pm Paolo Ielo una pista più recente. Una frase, di due righe appena battute a macchina per suggerire qualcosa anche su Franco Marini, ex segretario Cisl, ministro del Lavoro del settimo governo Andreotti, che dura dall’aprile 1991 all’aprile 1992.

Mani pulite è appena cominciata, l’appunto dei servizi segnala che Marini – e, precisiamo subito, questo è nelle carte craxiane, e non c’è alcun indizio di verosimiglianza – ha ricevuto parecchi miliardi, interessandosi di una trattativa a proposito della salvaguardia di oltre mille posti di lavoro. Della faccenda sarebbe a conoscenza, assicura lo spione, anche un commercialista di una città del Nord. Questo dato – al di là della sua attendibilità – indica come Craxi, non più presidente del consiglio, non più ministro, soltanto capo di un partito che si stava decomponendo sotto le cannonate della magistratura e le confessioni dei suoi rappresentanti politici, riceveva ancora, senza averne diritto, le ‘veline’ dei servizi segreti.

E’ sempre nella primavera del ‘ 92 che Craxi comincia a parlare di dossier contro Antonio Di Pietro, il pm che si dimetterà poi nel dicembre ’94. E’ presto per dire se Mani pulite stia imboccando la via (o, forse il vicolo cieco) dei misteri italiani. Sorprende però una coincidenza.

Ieri mattina il sostituto procuratore Piercamillo Davigo ha interrogato come persona informata sui fatti Giuliano Di Bernardo, uno dei massoni più noti d’ Italia, Gran maestro del Grande Oriente d’ Italia fino all’ inizio del 1994. Bocche cucite sul contenuto del colloquio: Di Bernardo, che da un anno ha fondato una “obbedienza” massonica sua “all’insegna della trasparenza”, la Grande loggia regolare d’Italia, dice che con il pm ha parlato “esclusivamente del periodo in cui facevo parte del Grande Oriente d’Italia, e delle mie conoscenze come gran maestro” nella massoneria più numerosa d’ Italia.

Davigo, per la verità, ha davanti a sé numerose indagini, che spaziano dalla corruzione all’interno della Guardia di Finanza ai ruoli cardine nel mondo della mazzetta di numerosi faccendieri, o all’addio all’Italia improvvisamente deciso da Craxi. La consulenza di Di Bernardo a cosa gli serve? Domanda per ora senza risposta. E non è l’ unica, di queste giornate complicate. C’ è una cosa che intriga gli investigatori più attenti: l’ ex segretario del Garofano ha dimenticato in via Boezio le sue cartelline gonfie di appunti? O ha voluto farle trovare?

Massimo Brutti, pidiessino, capo della commissione parlamentare sui servizi segreti, dice: “Abbiamo prova, è agli atti del processo di Palermo, di una attività di controllo del Sismi, nel 1982, su Pio La Torre. Le cose di cui parla Panorama sono nuove e impressionanti. All’ inizio degli anni ‘ 80 il Pci aveva un ruolo di rilievo nella lotta al terrorismo e firmava e sottoscriveva in Parlamento, con i partiti democratici, documenti di politica internazionale. Quelle attività di controllo sul Pci sono certamente illegittime. Si tratta di datarle, di sapere chi ha dato l’ ordine di compierle e anche di cercare di capire perché Craxi abbia conservato quel materiale per tanto tempo”.

Nell’ ufficio della Giovine Italia, a Roma, dove sulle scrivanie ci sono i portacenere dell’hotel Raphael e negli armadi i dossier, Craxi ha recuperato un po’ di tutto. C’è anche un carteggio che riguarda Federico Mannucci Benincasa, colonnello del Sismi, implicato in indagini sui depistaggi per la strage di Bologna.

E’ stato protetto da Craxi, che ha imposto il ‘segreto di Stato’ ai suoi atti, ed è uomo molto vicino a Licio Gelli, il segretario (tale è, secondo Craxi) della Loggia P2. Le carte da visionare restano, però, moltissime.

SPIANDO BERLINGUER

La Repubblica – Venerdì, 6 ottobre 1995 – pagina 10

Dunque, i servizi segreti spiavano Enrico Berlinguer. Il segretario del partito comunista morto nel 1984 era “ascoltato” e pedinato. I suoi spostamenti – come gli incontri con compagni di partito e leader politici – erano addirittura fotografati e filmati. “Clienti fissi” degli spioni di casa nostra anche i più stretti collaboratori di Berlinguer, Ugo Pecchioli, Antonio Tatò, Adalberto Minucci.

E’ la più clamorosa delle sorprese riservate dalla perquisizione nello studio di via Boezio di Bettino Craxi. Si dovrà ora chiarire perché quei dossier – migliaia, pare – fossero rubricati con cura nell’archivio del già leader socialista e presidente del Consiglio. Come si dovrà chiarire se è stato proprio lui, Craxi, a portarsi via le “carte riservate”, una volta sfrattato da Palazzo Chigi, o se è stata una compiacente “manina” o “manona” a consegnare all’uomo politico quelle informazioni illegalmente raccolte. Come si dovrà chiarire per quale motivo e su ordine di chi la leadership del partito comunista, che pure aveva già garantito nella stagione della solidarietà nazionale la sua correttezza e affidabilità democratica, sia stata spiata.

Un fatto è comunque certo. Non è una novità, ma è una conferma: l’Italia repubblicana ha avuto servizi segreti del tutto inaffidabili. Incapaci e inetti, nel migliore dei casi. Allegramente intenti a saccheggiare la cassaforte dei fondi riservati, nel non peggiore dei casi. Abitualmente impegnati a vanificare – con l’ inquinamento, il depistaggio, la menzogna – il lavoro dei pubblici ministeri che lavoravano per dare al Paese qualche brandello di verità. Molti volti e istituzioni di quell’ Italia repubblicana sono stati distrutti o mandati a casa, un intero sistema politico, interi partiti, intere leadership. E’ ora di chiedersi se davvero questo servizio segreto, con questa storia e queste incrostazioni, sia – nonostante le buone intenzioni – riformabile? Forse la domanda più essere ancora più radicale: davvero il Paese ha bisogno di un servizio segreto?

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