Non si può studiare se non si mangia o se si mangia male

da un Articolo su “L’Unità”, maggio 1974


Conservatori e reazionari hanno rinfacciato a lungo agli operai, ai contadini, ai lavoratori, che essi, ponendo la “questione sociale” (come un tempo si diceva) poneva una “questione di ventre”: come a dire, si preoccupavano unicamento del lato “materiale” della vita.

La classi lavoratrici hanno sempre saputo che la vita del­l’umanità non sta tutta e non si risolve tutta nella sua vita economica; ma esse hanno anche imparato, e a proprie spese, che l’economia è l’espressione più immediata dell’umani­tà in quanto società, in quanto tessuto di rapporti interdipen­denti, che si stabiliscono necessariamente tra le persone, i ceti e le classi, perché un organismo sociale possa vivere fa­cendo vivere i suoi membri, che debbono poter produrre, consumare, scambiare, vendere, muoversi da un luogo all’ al­tro, soddisfare esigenze individuali e collettive.

Noi siamo diventati socialisti” – scriveva Gramsci su “l’Ordine Nuovo” nel 1919 – “non perché ritenessimo che nella vita vale più il mangiare, ad esempio, che lo studiare, ma perché abbiamo provato che non si può studiare se non si mangia o se si mangia male.”

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