Articolo su Rinascita, agosto 1979
Oggi, da movimenti di massa e d’opinione che interessano milioni di persone, è posto in discussione il significato, il senso stesso dello sviluppo, o, come veniva recentemente osservato, il che cosa produrre, il perché produrre. Ma ciò vuol dire porsi il problema di quale intervento deve operare la classe operaia nella struttura economica del paese per introdurvi le risposte ai nuovi perché, cioè le motivazioni nuove capaci di dare un senso al lavoro e le misure nuove che lo garantiscano a tutti.
È su questi punti che è avvenuta la rottura tra le generazioni, il distacco dal lavoro di milioni di giovani, che lo rifiutano o lo patiscono in quanto lavoro alienato, e tale esso indubbiamente è e rimane (ma ovunque, in ogni parte del mondo, sia pure in forme diverse, a questo stadio della storia e della civiltà umana). Sbrigativamente, si sono accusati in blocco giovani e ragazze di non voler lavorare (o di non voler studiare) solo perché rei di domandarsi e di voler discutere il perché del lavoro (o il perché dello studio). Fuori da ogni esagitazione estremistica e pur respinto ogni irrazionalismo, questo problema è reale, c’è.
Ma se le cose stanno così, i termini di un compromesso di portata storica tra chi è solo interessato al quanto produrre e chi è interessato invece al che cosa e al perché produrre possono essere delineati con sufficiente approssimazione.
Noi abbiamo cercato di farlo proponendo al paese il grande tema dell’ austerità, un discorso nel quale era presente certamente anche una componente morale di condanna contro privilegi e lussi e sprechi, che divenivano tanto più insopportabili quanto più diminuivano, nella nuova divisione mondiale del lavoro, le risorse a disposizione dell’Italia e quanto più appariva ingiusto ripartire queste diminuite risorse solo sulla base del prezzo. Una selezione affidata al prezzo – si tratti di pane o di carne o di gasolio – non è quanto di più ingiusto colpisce i poveri e i meno abbienti?
Il nostro discorso sull’austerità non si limitava tuttavia solo a porre un’ esigenza di migliore giustizia distributiva, punto al quale pure teniamo e al quale non siamo disposti a rinunciare.