Intervento al Comitato Centrale del Pci, dicembre 1981
In realtà io penso che dobbiamo partire dalla convinzione profonda, che del resto è la stessa ragione d’essere nostra, che tutte queste novità spingono più che mai (più ancora di quanto avveniva nel secolo scorso quando sorse il movimento operaio e poi il movimento socialista, e più ancora di quanto sia avvenuto nella prima parte di questo secolo) alla necessità di una guida razionale del mondo.
Ciò è diventato ormai una necessità vitale per l’umanità, vitale nel senso che è in gioco la vita stessa del genere umano, il suo futuro. Altrimenti, o andremo a sconvolgimenti catastrofici oppure andremo a una soluzione che anch’essa sarà sÌ di guida, nei singoli paesi o su scala mondiale (in alcuni paesi del resto già lo è), ma nel senso di un dominio reazionario, verso quello che si potrebbe chiamare il periodo del «tallone di ferro».
C’è il pericolo del disastro ecologico, anch’esso mai prima affacciatosi come conseguenza dell’ opera dell’uomo. C’è il divario crescente fra aumento della popolazione mondiale e risorse, con tutte le conseguenze che ne derivano per le condizioni di vita e per la stessa possibilità di nutrimento di grandi masse umane.
Certo, dobbiamo essere pienamente, lucidamente consapevoli di questi immani rischi che l’umanità sta correndo. Ma dobbiamo evitare le visioni puramente catastrofiche. Dobbiamo saper vedere anche – con la stessa razionalità, in particolare come comunisti – il rovescio della medaglia: cioè la possibilità non solo di evitare quei pericoli, alcuni dei quali supremi, ma anche di aprire concretamente la strada all’affermarsi di una nuova qualità dell’esistenza dell’uomo, a trasformazioni profonde degli indirizzi e dei fini dello sviluppo. Questo è l’obiettivo, questo è l’orientamento che bisogna saper fare arrivare alla coscienza di milioni e milioni di persone.
A quale èra darebbe luogo, pensiamo, 1’esplosione nel mondo non più del riarmo, ma del disarmo? Se cioè, sia pure progressivamente, si riuscisse a imporre un freno agli armamenti e una riutilizzazione a fini pacifici di tutte le risorse finanziarie, tecniche e umane che sono oggi dissipate nella corsa al riarmo?
E quali possibilità possono aprire l’applicazione generalizzata e diffusa di scoperte scientifiche già fatte (e oggi neglette in molte loro potenziali applicazioni) o di nuove scoperte se fossero usate, finalmente, a fini pacifici, e che sarebbero tali da risolvere problemi che sono, badate, non insolubili di per sé, ma insolubili dentro le categorie culturali e i meccanismi sociali ed economici attuali? Scoperte quali quelle relative alla disponibilità di energia, al reperimento di nuove fonti energetiche, di altre materie prime, alla produzione di alimenti?
Il suolo, il sottosuolo, i mari e gli spazi, e la materia nelle sue particelle infinitesimali, sono lì disponibili per essere usati in modo razionale ed equilibrato al fine di aumentare le risorse, di mettere al riparo dai pericoli l’umanità e di arricchirne l’esistenza: purché la ricerca sia diretta a questo e non a altri fini – di distruzione, di mantenimento degli squilibri, di sfruttamento, di speculazione.
E immense possibilità si aprirebbero così anche all’occupazione, o meglio à nuove occupazioni e a nuove professionalità, quelle che appunto stanno già in parte nascendo: ma altre ne possono nascere da progetti pacifici tesi al miglioramento della vita, a soddisfare i nuovi bisogni dell’uomo e, della società di oggi. Ma ciò diviene possibile se si riuscirà a imporre che a questi scopi vengano indirizzate tutte le attività scientifiche e produttive, tutte le energie intellettuali e morali.