dall’intervista a Nuova Generazione, aprile 1972
Vi è un aggravamento delle condizioni di vita complessive della gioventù italiana. Diviene sempre più difficile, per giovani, entrare in modo libero nella produzione e nella vita sociale.
Dico in modo libero, e cioè senza venir arbitrariamente scelti, incasellati, inseriti nell’«ingranaggio prestabilito» dai ceti dominanti. Oggi, di fatto, le enormi energie sociali rappresentate dalle giovani generazioni vengono escluse dal processo produttivo, dallo sviluppo civile e dalla storia.
Infatti, la fase «matura» a cui è giunta il capitalismo italiano, imperniata sull’allargamento del consumo improduttivo a danno degli investimenti produttivi, ostacola, all’origine, la formazione dell’offerta di un numero adeguato di pasti e di impieghi alle nuove leve che, ogni anno sempre più numerose, si affacciano sul mercato del lavoro.
Di qui la crescita rilevante della disoccupazione giovanile, non solo operaia e contadina, ma dei giovani diplomati e laureati. […]
Mentre denunciamo apertamente i fenomeni degenerativi e il ruolo negativo e persino provocatorio di alcuni gruppi estremisti, ribadiamo la nastra convinzione che il movimento dei giovani che si è sviluppata dal 1968 in poi è stato un fenomeno fondamentalmente positivo.
Non si è trattato di semplici movimenti di protesta, ma di movimenti politici che nascevano da un disagio materiale e morale profondo, e che esprimevano il distacco di larghi strati di giovani dal sistema di potere e dagli orizzonti culturali e politici della borghesia.
Fenomeni di questa portata non potevano non assumere forme radicali anche esasperate. Il nostro atteggiamento ha teso a cogliere le radici reali dei movimenti giovanili e a cercare di saldarli al grande moto di rinnovamento della nostra società.