Imperialismo e Coesistenza alla luce dei fatti cileni

di Enrico Berlinguer, 28 settembre 1973, Rinascita


Gli avvenimenti cileni sono stati e sono vissuti come un dramma da milioni di uomini sparsi in tutti i continenti. SI è avvertito e si avverte che si tratta di un fatto di portata mondiale, che non solo suscita sentimenti di esecrazione verso i responsabili del golpe reazionario e dei massacri di massa, e di solidarietà per chi ne è vittima e vi resiste, ma che propone interrogativi i quali appassionano i combattenti della democrazia in ogni paese e muovono alla riflessione.

Non giova nascondersi che il colpo gravissimo inferto alla democrazia cilena, alle conquiste sociali e alle prospettive di avanzata dei lavoratori di quel paese è anche un colpo che si ripercuote sul movimento di liberazione e di emancipazione dei popoli latino-americani e sull’intero movimento operaio e democratico mondiale; e come tale è sentito anche in Italia dai comunisti, dai socialisti, dalle masse lavoratrici, da tutti i democratici e antifascisti.

Ma come sempre è avvenuto di fronte ad altri eventi di tale drammaticità e gravità, i combattenti per la causa della libertà e del socialismo non reagiscono con lo scoramento o solo con la deprecazione e la collera, ma cercano di trarre un ammaestramento. In questo caso l’ammaestramento tocca direttamente masse sterminate della popolazione mondiale, chiamando vasti strati sociali, non ancora conquistati alla nostra visione dello scontro sociale e politico che è in atto nel mondo di oggi, a scorgere e intendere alcuni dati fondamentali della realtà. Ciò costituisce una delle premesse indispensabili per un’ampia e vigorosa partecipazione alla lotta volta a cambiare tali dati.

Anzitutto, gli eventi cileni estendono la consapevolezza, contro ogni illusione, che i caratteri dell’imperialismo, e di quello nord-americano in particolare, restano la sopraffazione e la jugulazione economica e politica, lo spirito di aggressione e di conquista, la tendenza a opprimere i popoli e a privarli della loro indipendenza, libertà e unità ogni qualvolta le circostanze concrete e i rapporti di forza lo consentano.

In secondo luogo, gli avvenimenti in Cile mettono in piena evidenza chi sono e dove stanno nei paesi del cosiddetto «mondo libero», i nemici della democrazia. L’opinione pubblica di questi paesi, bombardata da anni e da decenni da una propaganda che addita nel movimento operaio, nei socialisti e nei comunisti i nemici della democrazia, ha oggi davanti a sé una nuova lampante prova che le classi dominanti borghesi e i partiti che le rappresentano o se ne lasciano asservire, sono pronti a distruggere ogni libertà e a calpestare ogni diritto civile e ogni principio umano quando sono colpiti o minacciati i propri privilegi e il proprio potere.

Compito dei comunisti e di tutti i combattenti per la causa del progresso democratico e della liberazione dei popoli è di far leva sulla più diffusa consapevolezza di queste verità per richiamare la vigile attenzione di tutti sui percoli che l’imperialismo e le classi dominanti borghesi fanno correre alla libertà dei popoli e all’indipendenza delle nazioni, e per sviluppare in masse sempre più estese l’impegno democratico e rivoluzionario per modificare ulteriormente, nel mondo e in ogni paese, i rapporti di forza a vantaggio delle classi lavoratrici, dei movimenti di liberazione nazionale e di tutto lo schieramento democratico e antimperialistico. Gli avvenimenti del Cile possono e devono suscitare, insieme a un possente e duraturo movimento di solidarietà con quel popolo, un più generale risveglio delle coscienze democratiche, e soprattutto un’azione per l’entrata in campo di nuove forze disposte a lottare concretamente contro l’imperialismo e contro la reazione.

A questo fine è indispensabile assolvere anche al compito di una attenta riflessione per trarre dalla tragedia politica del Cile utili insegnamenti relativi a un più ampio e approfondito giudizio sia sul quadro internazionale, sia sulla strategia e tattica del movimento operaio e democratico in vari paesi, tra i quali il nostro.

Il peso decisivo dell’intervento Usa

Nessuna persona seria può contestare che sugli avvenimenti cileni ha pesato in modo decisivo la presenza e l’intervento dell’imperialismo nord-americano. La coscienza popolare l’ha avvertito immediatamente. Al di là di pur illuminanti episodi della cronaca politica e diplomatica relativa ai giorni del golpe e a quelli immediatamente precedenti, sta il fatto che, fin dall’avvento del governo di Unità popolare i gruppi monopolistici nord-americani presenti con posizioni dominanti nell’economia cilena (rame, Itt) e i circoli dirigenti dell’amministrazione degli Usa hanno intrapreso una sistematica azione su tutti i terreni – dalla guerra economica alla sovversione – per provocare il fallimento del governo Allende e per rovesciarlo.

Del resto, questo e altri modi di intervento degli Usa ai danni dei popoli e delle nazioni che aspirano all’indipendenza non sono certo un’eccezione, ma, specialmente nell’America Latina, la regola. Chi non ha presenti i brutali interventi in Guatemala, nella Repubblica dominicana e in tanti altri Stati? E chi non sa che Cuba socialista, con la sua fermezza e con la sua unità, e grazie anche alla solidarietà e al sostegno dell’Unione Sovietica e degli altri paesi socialisti, ha dovuto respingere per anni manovre, provocazioni, boicottaggio economico, attacchi diretti al suo territorio e deve essere sempre vigilante per salvaguardare ancor oggi la propria indipendenza?

Anche in altre zone del mondo, si tratti delle aree sottosviluppate dell’Asia e dell’Africa o si tratti degli stessi paesi di capitalismo avanzato (dal Giappone all’Europa occidentale) non cessano di manifestarsi la penetrazione dell’imperialismo americano e la sua iniziativa, in tutte le forme possibili, per mantenere o estendere le sue posizioni economiche, politiche e strategiche.

Una situazione in movimento e di scontro

Che cosa può contrastare, limitare e far arretrare questa tendenza dell’imperialismo? La risposta più semplice è anche quella più vera: la modificazione progressiva dei rapporti di forza a suo svantaggio e a favore dei popoli che aspirano alla propria liberazione e di tutti i paesi che lottano per un nuovo assetto del mondo e per un nuovo sistema di rapporti tra gli Stati. È proprio in questa direzione che va il processo storico mondiale da quasi sessanta anni, da quando la rivoluzione russa del 1917 ha spezzato per la prima volta la dominazione esclusiva dell’imperialismo e del capitalismo. Da allora, e soprattutto dopo la vittoria sul nazismo, dopo la vittoria della rivoluzione cinese e con il crollo del vecchio sistema coloniale inglese e francese, l’area sottoposta al controllo dell’imperialismo si è andata restringendo. Sconfitta la politica folle e avventurosa che pretendeva doi rovesciare i regimi socialisti sorti dopo la seconda guerra mondiale in Europa e in Asia (la politica del roll-back) le potenze capitalistiche e gli stessi Usa sono ormai costretti a riconoscere che i regimi socialisti, ovunque esistenti, non possono essere toccati e che con essi bisogna fare i conti e trattare.

Altri Stati, sorti dallo sfacelo del sistema coloniale, hanno potuto costruire e difendono con sempre maggiore vigore la propria indipendenza; e alcuni di tali Stati manifestano la tendenza a orientare l’edificazione dei loro ordinamenti economici e sociali in direzione del socialismo. In questo quadro ha avuto e ha enorme portata la vittoria dell’eroico popolo del Vietnam, sostenuto dai paesi socialisti e da un possente movimento internazionale di solidarietà, contro l’aggressione americana. Tale vittoria ha inflitto un nuovo duro colpo alle pretese imperialistiche, e rappresenta un nuovo determinante contributo al mutamento dei rapporti di forza nel mondo e al progredire di una politica di distensione e di pacifici negoziati nei rapporti fra gli Stati.

Ma inoltre gli Usa sono oggi costretti a fare i conti con una crescente volontà di autonomia che si viene manifestando, soprattutto negli ultimi anni, nei paesi dell’Occidente europeo.

Infine, per grave che sia il colpo che viene dal rovesciamento del governo di Unità popolare in Cile, il moto di riscossa e di liberazione, che resta una realtà non cancellabile nei paesi dell’America latina, non cesserà certo di esprimersi nelle forme più diverse e di trovare la strada per opporsi con successi anche parziali al dominio nord-americano e alle cricche locali ad esso asservite. Non sta a dire proprio questo il fatto che il colpo di Stato militare incontra nel popolo cileno e solleva in altri paesi latino-americani e ovunque una resistenza, una condanna e una risposta quali non si erano verificate in occasione di altri colpi di Stato reazionari?

Il riconoscimento della tendenza di fondo che si va affermando nel processo storico mondiale – e che dà luogo, in ultima analisi, a una progressiva riduzione dell’area del dominio delle forze imperialistiche – non ci impedisce certo di constatare (e proprio dal Cile ci viene in questi giorni un nuovo severo monito) che l’imperialismo internazionale e le forze reazionarie in molti paesi sono in grado di contenere la lotta emancipatrice dei popoli e in certi casi di infliggere duri scacchi alle forze animatrici di tale lotta. Solo tenendo presente questo dato di fatto, e cogliendo in ogni regione del mondo, in ogni paese e in ogni momento le forme concrete in cui si esprime o si può prevedere che si esprima, è possibile evitare di essere colti di sorpresa, di cadere in errori e mettersi invece in grado di organizzare e condurre un’azione rivoluzionaria e democratica pronta e adeguata.

I due piani della lotta per la pace

Qualcuno si è domandato come sia possibile che interventi così brutali come quello effettuato in Cile dalle forze dell’imperialismo e della reazione continuino a verificarsi in una fase della vita internazionale nella quale si vanno compiendo passi sempre più spediti sulla via della distensione e della coesistenza pacifica nei rapporti tra Stati con diverso regime sociale. Ma chi ha mai sostenuto che la distensione internazionale e la coesistenza significano l’avvento di un’era doi tranquillità, la fine della lotta delle classi sul piano interno e internazionale, delle controrivoluzioni e delle rivoluzioni?

La politica della distensione, nella prospettiva della pacifica coesistenza, è prima di tutto la via obbligata per garantire un obiettivo primario, di interesse vitale per tutta l’umanità e per ciascun popolo: evitare la catastrofe della guerra atomica e termonucleare, assicurare la pace mondiale, affermare il principio del negoziato come unico mezzo per risolvere le controversie tra gli Stati. Inoltre, la distensione e la coesistenza, in quanto implicano la riduzione progressiva di tutti gli armamenti e forme molteplici e crescenti di cooperazione economica, scientifica e culturale, sia sul piano bilaterale che su quello multilaterale, sono una delle vie per affrontare con sforzi congiunti i grandi problemi del mondo contemporaneo, quali quelli del sollevamento delle aree depresse, dell’inquinamento, della lotta contro l’indigenza e le malattie sociali, ecc.

La distensione e la coesistenza non comportano di per sé, automaticamente e in un periodo breve, il superamento della divisione del mondo in blocchi e zone di influenza, e quindi non precludono agli Usa la possibilità di interferire nei più vari modi, compresi quelli più sfacciati, nelle zone e nei paesi che essi vorrebbero acquisiti per sempre dentro la sfera del loro dominio diretto o indiretto.

La divisione del mondo in blocchi ed aree diverse è un fatto che preesiste alla politica della distensione e della coesistenza in quanto è il risultato di tutto lo svolgimento del processo storico mondiale, dalla Rivoluzione d’Ottobre alla seconda guerra mondiale fino agli eventi, di diverso segno, di questi ultimi decenni che hanno determinato l’attuale dislocamento degli equilibri internazionali e interni. Né va dimenticato il peso negativo che esercitano sulla vita internazionale quelle divisioni fra i paesi socialisti che hanno il loro punto di massima serietà nei contrasti tra la Cina popolare e l’Unione Sovietica.

L’ulteriore mutamento dei presenti equilibri a favore delle forze del progresso dipende, in primo luogo, dalla capacità di lotta e di iniziativa del proletariato, dei lavoratori, delle masse popolari e delle loro organizzazioni in ogni singolo paese. Ma è anche evidente che il progredire della distensione e della coesistenza costituisce una condizione indispensabile per favorire il superamento della divisione del mondo in blocchi o zone d’influenza, per facilitare l’affermazione del diritto di ogni nazione alla propria indipendenza e quindi, in ultima analisi, per ridurre le possibilità dell’interferenza imperialistica nella vita di altri paesi. In pari tempo camminare decisamente sulla strada della distensione e della coesistenza significa sollecitare i processi di sviluppo della democrazia e della libertà in tutti i paesi del mondo, quale che sia il loro regime sociale.

Questa è la concezione che abbiamo noi della distinzione e coesistenza: una concezione dinamica e aperta, che si misura e si confronta con un’altra concezione, propria dell’imperialismo, il quale, anche quando è costretto al negoziato con i paesi socialisti, pretende di fissare il quadro mondiale allo status quo dei rapporti di forza in atto nel mondo e nei vari paesi. Da tutto ciò si conferma la necessità di continuare a lottare tenacemente, sul piano internazionale, per far avanzare il processo della distensione e della coesistenza e per svilupparne tutte le potenzialità positive e, al tempo stesso, di proseguire in ogni paese le battaglie per l’indipendenza nazionale e per la trasformazione in senso democratico e socialista dell’assetto economico e sociale e degli ordinamenti politici e statali.

Il nostro partito ha sempre tenuto conto del rapporto imprescindibile tra questi due piani. Da una parte, come ci ha abituato a fare Togliatti, abbiamo cercato di valutare freddamente le condizioni complessive dei rapporti mondiali e il contesto internazionale in cui è collocata l’Italia. Dall’altra parte ci siamo sforzati di individuare esattamente lo stato dei rapporti di forza all’interno del nostro paese.

In particolare abbiamo sempre dato il dovuto peso in tutta la nostra condotta al dato fondamentale costituito dall’appartenenza dell’Italia al blocco politico-militare dominato dagli Usa e agli inevitabili condizionamenti che ne conseguono. Ma la consapevolezza di questo dato oggettivo non ci ha certo portato all’inerzia e alla paralisi. Abbiamo reagito e reagiamo con la nostra iniziativa e con la nostra lotta. Tutti i tentativi di schiacciarci o di isolarci li abbiamo respinti. La nostra forza e la nostra influenza fra le masse popolari e nella vita nazionale sono anzi cresciuti. Su questa strada si può e si deve andare avanti. Dunque, anzitutto, si tratta di modificare gli interni rapporti di forza in misura tale da scoraggiare e rendere vano ogni tentativo dei gruppi reazionari interni e internazionali di sovvertire il quadro democratico e costituzionale, di colpire le conquiste raggiunte dal nostro popolo, di spezzarne l’unità e di arrestare la sua avanzata verso la trasformazione della società.

In pari tempo, la nostra lotta e la nostra iniziativa vanno sviluppate anche sul terreno dei rapporti internazionali, sia dando un nostro contributo a tutte le battaglie che in Europa e in ogni parte del mondo possono condurre a indebolire le forze dell’imperialismo, della reazione e del fascismo, sia sollecitando una politica estera italiana che affermi, insieme alla volontà del nostro paese di vivere in pace e in amicizia con tutti gli altri paesi, il diritto del popolo italiano di costruirsi in piena libertà il proprio avvenire.

Decisi passi avanti possono compiersi oggi in questa direzione perché le esigenze e le proposte che noi avanziamo si collocano in un quadro europeo caratterizzato da sensibili progressi della distensione e perché esse si incontrano con analoghe aspirazioni e iniziative che si manifestano in altri paesi dell’Europa occidentale. Da ciò abbiamo ricavato una linea che s’incentra nella proposta di lavorare per un assetto di pace nel Mediterraneo e per un’Europa occidentale autonoma, pacifica, democratica. Lavorare per questo obiettivo non vuol dire porre una tale Europa, e in essa l’Italia, in una posizione di ostilità o verso l’Unione Sovietica e gli altri paesi socialisti o verso gli Stati Uniti. Chi ciò volesse si proporrebbe qualcosa di assurdo, di velleitario e, in ultima analisi, di antitetico alla logica di una politica di distensione e di sviluppo democratico per il nostro paese e per tutti gli altri paesi dell’Europa. La lotta conseguente per questa linea di politica internazionale è parte fondamentale della prospettiva che chiamiamo via italiana al socialismo.

Prime considerazioni sull’Italia

Gli avvenimenti cileni ci sollecitano a una riflessione attenta che non riguarda solo il quadro internazionale e i problemi della politica estera, ma anche quelli relativi alla lotta e alla prospettiva della trasformazione democratica e socialista del nostro paese. Non devono sfuggire ai comunisti e ai democratici le profonde differenze tra la situazione del Cile e quella italiana. Il Cile e l’Italia sono situati in due regioni del mondo assai diverse, quali l’America latina e l’Europa occidentale. Differenti sono anche il rispettivo assetto sociale, la struttura economica e il grado di sviluppo delle forze produttive, così come sono diversi il sistema istituzionale (Repubblica presidenziale in Cile, Repubblica parlamentare in Italia) e gli ordinamenti statali. Altre differenze esistono nelle tradizioni e negli orientamenti delle forze politiche, nel loro peso rispettivo e nei loro rapporti. Ma insieme alle differenze vi sono anche delle analogie, e in particolare quella che i comunisti e i socialisti cileni si erano proposti anch’essi di perseguire una via democratica al socialismo. Dal complesso delle differenze e delle analogie occorre dunque trarre motivo per approfondire e precisare meglio in che cosa consiste e come può avanzare la via italiana al socialismo.

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