La caduta del centro-destra

Intervista di Romano LeddaRinascita, n. 28, 13 lugIio 1973

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Il nuovo governo è ormai costituito e al momento in cui facciamo questa intervista sta per sottoporsi al voto del parlamen­to. Non si conosce ancora nella sua interezza il programma gover­nativo, ma disponiamo degli elementi principali per un primo giu­dizio. Sulla base di tali elementi ci si domanda se vi siano o no novità sostanziali rispetto al fallito esperimento di centro-destra.

Per noi è fuori di dubbio – e questo è il primo punto da cui muove il nostro giudizio – che il nuovo governo, il suo pro­gramma, la sua stessa composizione sono inadeguati alla gravità della crisi politica, economica, sociale e ideale che attraversa il paese.

Tuttavia il mutamento c’è e anche di questo dobbiamo es­sere pienamente consapevoli. Guai infatti se smarrissimo la co­scienza di ciò che è stato il governo Andreotti e quindi sottova­lutassimo non solo il successo costituito dalla sua sconfitta, ma anche gli effetti dinamici che ne derivano. Ci muoviamo insomma in una situazione che è diversa e complessivamente piu favore­vole di quella esistente con il governo Andreotti.

Forse sarebbe utile, anche ai fini dell’ azione politica dell’ oggi, tentare un sommario bilancio sul governo Andreotti…

Ci sembra che i fatti abbiano confermato il giudizio che noi demmo subito sulla natura, sulla portata e sulla pericolosità del­l’operazione di centro-destra. Concepita e presentata come un’ope­razione rivolta a ricuperare i voti spostatisi verso l’estrema destra, la politica della centralità è divenuta essa stessa una politica di destra. Infatti, la svolta compiuta sotto il nome della centralità rimetteva nel gioco politico, fino a darle una prospettiva di forza diretta o indiretta di governo, la destra in tutte le sue espressioni: i ripetuti e sempre più frequenti voti di sostegno e di salvataggio del Msi hanno provato che non vi poteva essere una maggioranza aperta ai liberali senza arrivare all’apertura all’estrema destra.

Il governo Andreotti è stato il tentativo di unificare uno schieramento politico e sociale a sostegno di una politica di de­stra, dandole una stabilità. Noi non ci siamo mai nascosti che questa operazione, pur scontrandosi contro la volontà e le esi­genze di una parte grande del paese, aveva basi reali, particolar­mente in precise tendenze del mondo economico, di parte degli apparati statali, di strati di opinione pubblica e di vasti settori della Democrazia cristiana. Il governo Andreotti ha cercato di col­tivare ed estendere tali tendenze, non solo con evidenti atti poli­tici, ma anche con una sua ideologia, attraverso la quale si get­tava un sottile e qualunquistico discredito sulla: democrazia, le isti­tuzioni, i partiti, corrodendo la coscienza democratica del paese.

I guasti provocati da questa ideologia sono stati seri e non facilmente superabili, così come lo sono quelli provocati dalla poli­tica economica e finanziaria del centro-destra. In questo campo la linea del governo è stata volta, da un lato, a difendere privi­legi di casta e a coltivare spinte corporative e, dall’altro lato, a sollecitare un accelerato processo inflattivo, che di per sé favo­risce economicamente e politicamente le forze di destra, oltre che essere un’arma per colpire le conquiste dei lavoratori ed il potere contrattuale dei sindacati, per deprimere le condizioni di vita e la fiducia della gente povera e per bloccare, più in generale, ogni prospettiva di rinnovamento. Ai due aspetti della linea di governo che ho ricordato ne va aggiunto un terzo, non meno importante, anche se su di esso una parte delle forze democratiche non è stata abbastanza attenta: i legami internazionali coltivati da Andreotti, non solo con ambienti americani (si ricordino la concessione della base della Maddalena e il viaggio a Washington), ma anche con ambienti europei collegati ad una prospettiva di destra.

Ecco le ragioni che ci hanno spinto ad impegnare tutte le nostre forze affinché il governo Andreotti cadesse al più presto e si determinasse una inversione di tendenza.

Prima di chiederti se c’è o no una inversione di tendenza vorrei porti un’ altra questione: perché, secondo te, il governo Andreotti è caduto? Quali sono i fattori che hanno maggiormente concorso al suo fallimento?

In primo luogo le lotte operaie dei mesi scorsi. Il governo e il padronato si sono trovati di fronte una classe operaia dotata di una grande combattività e maturità che a torto qualcuno pen­sava fossero diminuite o intaccate. Nello stesso periodo si sono sviluppati importanti movimenti popolari unitari nel Mezzogiorno – dalla Calabria alla Basilicata, all’Abruzzo, alla Sicilia, alla Campania – e valga per tutti l’esempio di ciò che è accaduto in­torno alle alluvioni.

Non meno determinante è stata· la risposta della coscienza democratica – dai movimenti delle più larghe masse alle prese di posizione dei partiti e delle massime autorità della repubblica – alle provocazioni reazionarie, agli attentati criminali dei fasci­sti, alla vergogna dei voti dati dal Movimento sociale al governo e da questo non respinti. Tutto ciò ha isolato il neofascismo, ha reso insostenibile il suo rapporto con il governo ed ha messo an­cora più in luce la sostanza reazionaria del1e «teorie» della cen­tralità e degli opposti estremismi. La linea del governo Andreotti si è scontrata anche con quella delle regioni. In nessuna regione è stato costituito un governo di centro-destra, mentre si sono creati schieramenti unitari con la presenza determinante dei comunisti, come è avvenuto nel convegno di Cagliari delle regioni meridio­nali. Un grande peso hanno avuto le iniziative prese dal movimen­to sindacale e quelle del nostro partito – con un rafforzamento notevole del suo prestigio, della sua autorità e della sua influenza – tese a superare ritardi e difetti, e a ristabilire ed estendere un contatto con strati sociali che erano scivolati a destra. Si possono ricordare, a titolo di esempio, le prese di posizione e le iniziative su temi come quelli delle alleanze, della politica economica, del Mezzogiorno, della scuola, della polizia, dell’estremismo, ecc. Si è creata così una situazione che ha visto convergere nell’azione per liquidare il governo di centro-destra un vasto arco di forze sociali e politiche, comprese forze non di sinistra, tutte interessate ad un mutamento del quadro politico.

Questo insieme di fattori è destinato ad esercitare il suo peso anche nella nuova situazione.

In che misura tutti questi fatti hanno inciso sulla Democra­zia cristiana?

Per quanto vi fossero al suo interno molte opposizioni ad Andreotti, io credo che, senza la pressione venuta dalla mobilita­zione popolare e dai fatti politici che ho ricordato, la Democrazia cristiana si sarebbe volente o nolente lasciata trascinare nel prose­guimento dell’operazione di centro-destra. Il congresso democri­stiano ha invece dovuto prendere atto che il governo era già bat­tuto e che se si continuava su quella strada i rischi della degra­dazione progressiva avrebbero colpito non solo e ulteriormente le istituzioni democratiche, ma la stessa Dc e le sue prospettive.

Si può parlare di una sconfitta definitiva dell’operazione di centro-destra?

No. Vi sono forze interne e internazionali che continueranno a perseguire con tutti i mezzi possibili i loro piani eversivi e che – anzi – sperano di trovare altre carte da giocare nella nuova situa­zione, puntando su un aggravamento della crisi del paese e sulla mancata soluzione dei problemi aperti. Vi sono, inoltre, nella stessa Democrazia cristiana uomini e gruppi che cercheranno in ogni modo un possibile rilancio della loro linea.

È evidente, più in generale, che nella Dc nel suo complesso prevale la volontà di limitare al massimo la portata del mutamento del quadro politico e di far salve anzitutto le posizioni di potere del partito e gli interessi che esso difende. Ciò è apparso evidente, oltre che nelle conclusioni del congresso democristiano, anche nella condotta seguita dal suo gruppo dirigente per la soluzione della crisi di governo.

Ma allora il nuovo governo i ti sembra in grado di riparare i guasti provocati dall’operazione di centro-destra? C’è o no inversione di tendenza?

Noi riconosciamo che un fatto nuovo ed importante si è determinato. Non è poca cosa la rottura con i partiti di destra e l’apertura verso un partito socialista che dichiara, contrariamente a quanto avvenne all’inizio del centro-sinistra, di voler continuare una politica unitaria nell’ambito dell’intero movimento operaio. La situazione è dunque più aperta ed esistono condizioni più avan­zate per la lotta operaia e democratica. Eppure, contemporanea­mente, non sembri contraddittorio, essa diviene più complicata, presenta accresciute difficoltà. Cosi, del resto, accade sempre dopo un successo del movimento popolare. Direi che un’inversione di tendenza vi è, ma che essa è per molti aspetti avviata male e non ha l’incisività necessaria per garantire il mutamento. Vi è anzitutto la mancanza del senso della necessità di una svolta profonda. Per­sino nell’assetto del governo manca l’elemento di novità. È deplo­revole che non si sia avuto il coraggio neppure di ridurre il nu­mero dei ministri e sottosegretari, seguendo una routine tradi­zionale.

Quanto al programma, non lo conosciamo ancora nella sua completezza. Da ciò che risulta vi sarà un impegno in senso anti­fascista, ma non è ancora chiaro come si tradurrà in misure pra­tiche. Sul terreno economico sarà affermata la volontà di non perseguire una politica inflazionistica ma anzi di contenerla senza colpire le capacità produttive e le fonti di occupazione. Ma in che misura si riuscirà in questo intento, anche tenendo conto delle im­plicazioni internazionali? Nel programma mi pare che permanga di fatto la solita divaricazione tra misure congiunturali e politica delle riforme. Le riforme indicate sono vaghe, e soprattutto non pongono al primo posto, come sarebbe necessario, il Mezzogiorno, l’agricoltura e la scuola. Per quanto riguarda altri aspetti del pro­gramma governativo, come il fermo di polizia, stupisce che nes­suna forza politica presente alle trattative abbia sollevato la que­stione di principio, inerente l’incostituzionalità di questa misura, per affrontare il problema, che è reale, della lotta alla criminalità in modi più efficienti ma non lesivi delle libertà individuali. Non sono positive le notizie circa il rapporto con le regioni, poiché non vengono accolte proposte presentate unitariamente dai loro rap­presentanti. Inutile dire sulla grave questione della Rai-Tv.

Mi sembra però che la questione della Rai-Tv sia la spia di un atteggiamento più generale…

Infatti, a parte la rilevanza della questione, nella trattativa su questo punto è apparsa nel modo più chiaro la volontà della Democrazia cristiana di conservare intatto il suo sistema di potere e di non modificare una concezione conservatrice del rapporto tra Stato e cittadino, tra parlamento ed esecutivo.

In conclusione, ci sembra che vi sia una netta sproporzione tra la soluzione della crisi di governo e la gravità della situazione del paese.

Una parte della stampa ha scritto che i comunisti avrebbero spinto i socialisti a partecipare comunque al governo. Cosa c’è di vero?

Nulla di vera. In tutti i vari colloqui politici avuti in que­sto periodo, abbiamo sempre espresso la nostra convinzione che, nelle attuali condizioni, sarebbe stato preferibile che il partito so­cialista avesse data il suo appoggio al governa dall’esterno. Natu­ralmente, eravamo consapevoli che la decisione spettava, nella sua piena autonomia, al partito socialista e abbiamo perciò evitato di assumere posizioni che potessero essere interpretate come una pressione. È evidente che la presenza diretta dei compagni socia­listi al governo è un fatta del quale noi terremo dovuto canto, conservando però a nastra volta piena libertà di giudizio e di iniziativa.

Il governo di centro-destra è caduto e va bene. Ma qualcuno potrebbe anche chiedersi se valesse poi la pena di fare tutto quello che si è fatto per rifinire nel centro-sinistra e ricominciare quindi da capo.

Ogni situazione è determinata non sala dalle volontà soggettive, ma anche e soprattutto dai reali raparti di forza esistenti nel paese. L’avvento e la caduta di Andretti sana stati il prodotto di uno spostamento che si è operato prima in negativo, poi in positivo, tra le forze politiche e sociali. In questo senso io non sono sorpreso della soluzione di governo adattata perché vi trova riflessi la positività ma anche i limiti degli spostamenti che abbia­mo saputa provocare nel tessuto politica e sociale. Certo, c’è an­che la volontà soggettiva della Democrazia cristiana che canta e pesa, ma ci sano dati oggettivi della realtà che dobbiamo saper valutare. Qui è la sostanza, su cui bisogna concentrarsi: ripren­dere perciò il dibattito che si ebbe al sorgere del centro-sinistra sarebbe assolutamente sterile. La formula è quella, con i limiti e anche con i rischi che abbiamo ben presenti, ma il contesto politico e sociale è assai diversa.

Sbaglio, o c’è qui una indicazione di lavoro nell’attuale situazione?

Certo. Più che mai il nostra partito deve comprendere ­e agire di conseguenza – che dalla situazione attuale non si esce se non madificando ulteriormente e in avanti i rapporti di forza sociali e politici e gli orientamenti delle grandi masse e dell’opi­nione pubblica. Perciò quel che canta soprattutto è l’azione nel paese, è la nastra capacità di estendere i collegamenti con le mas­se, di sviluppare l’iniziativa e le lotte unitarie e democratiche su questioni che non possono attendere, immediate e di prospettiva. Dalla qualità e dall’ampiezza della schieramento di forze politiche e sociali da costruire a sostegno di una prospettiva di rinnovamento dipendono i passi avanti che si riusciranno a campiere per dare una soluzione positiva e adeguata alla gravità della crisi che attraversiamo. Questa orientamento guiderà la nastra azione nei confronti del nuovo governo e più in generale per far fronte alla. situazione.

Su quali temi pensi che si debba sviluppare l’impegno im­mediato?

In primo luogo ci impegneremo sulle questioni più urgenti e drammatiche, quali la lotta contra il carovita, per la difesa del patere d’acquista dei salari, delle pensioni e degli altri redditi più bassi, cercando di conquistare misure efficaci sui prezzi, sui ser­vizi, sugli affitti. Nello stesso tempo ci batteremo per una politica di sviluppo dell’occupazione, e perché i problemi del Mezzogiorno, dell’agricoltura e. della scuola siano pasti al centra di una nuova politica economica e di riforme. In tutti questi campi sono necessari e possibili movimenti e iniziative in grado di conseguire rapidi e concreti risultati.

Anche la battaglia antifascista va proseguita con tenacia. Biso­gna ottenere che le dichiarazioni di impegna antifascista del nuova governo si traducano in atti volti a colpire i mandanti delle trame eversive, a spezzare la catena di omertà, tolleranze e connivenze di cui ha goduto il neofascismo in tutti questi anni, e più in gene­rale volti a democratizzare la vita degli apparati dello Stato.

Anche le questioni della politica estera (distensione e ridu­zione degli armamenti nell’area mediterranea, Media Oriente, democratizzazione della Cee,ecc.) devono essere materia di un’ini­ziativa positiva, incalzante.

Scusa se ti interrompo, ma mi era parso che poc’anzi tu mettessi l’accento anche su un altro aspetto della mobilitazione e dell’iniziativa, usando la parola «prospettiva»…

È ovvio che i problemi della prospettiva sono sempre importanti tanti ai fini di qualsiasi movimento. Ma mi pare che in questa spe­cifica situazione essi acquistino particolare rilevanza. Sono cioè convinto che al punto in cui siamo, per battere i rischi ed i peri­coli presenti e per uscire dalla crisi, occorre una grande battaglia politica e ideale per far avanzare nella realtà e nelle coscienze la prospettiva di un generale rinnovamento. Si tratta di dare non solo al nostro partito ma alla maggioranza del paese una grande chiarezza sui temi dello sviluppo generale della società italiana, dando vita ad ampi movimenti e schieramenti per il superamento delle attuali strutture economiche e sociali, per la riforma dello Stato e quindi per il consolidamento e rinnovamento della democrazia italiana.

Questo del resto è il senso della questione comunista, posta all’ordine del giorno dall’ampiezza della crisi in atto, dai pericoli di degradazione cui essa espone gli istituti democratici e dalle esigenze altrettanto ampie di rinnovamento che un suo sbocco positivo impone.

Alcuni esponenti della nuova maggioranza governativa pre­sentano l’attuale governo quasi come 1’«ultima spiaggia» della democrazia italiana. Che cosa ne pensi?

Noi respingiamo nettamente questa opinione, che pure è anch’essa rivelatrice della drammaticità della crisi del paese. Essa rivela però anche stati d’animo di smarrimento e di sfiducia. Ed è l’espressione di una concezione non democratica perché riduce le possibili maggioranze parlamentari e di governo in un’area che esclude” i comunisti, che rappresentano oltre 9 milioni di voti e che sono la forza più attiva della democrazia. Tutta l’esperienza italiana, e soprattutto quella dell’ultimo decennio, mostra invece che non vi può essere giusta e duratura soluzione dei problemi dello sviluppo democratico del paese senza i comunisti e tanto meno contro di essi.

Da quanto sei venuto dicendo si delinea il tipo di opposi­zione che adottiamo verso il nuovo governo. Su di essa si sono imbastite interpretazioni contrastanti. Di qui l’ultima domanda: quale opposizione faremo?

Noi abbiamo parlato di una opposizione diversa. In che sen­so? La risposta è semplice. Di fronte al governo di centro-destra l’obiettivo era di farlo cadere al più presto. Di fronte ad una situazione nuova e ad un governo nuovo, diverso da quello pre­cedente, la nostra opposizione consisterà nel metterlo alla prova, nell’incalzarlo con un movimento e con iniziative che spingano a soluzioni rapide e positive dei problemi che urgono. Nel con­tempo lavoreremo per un suo superamento perché siamo consa­pevoli della sua inadeguatezza rispetto all’acutezza della situazione.

La nostra sarà dunque un’ opposizione diversa da quella con­dotta verso il governo Andreotti, ma non certo compiacente e di comodo; sarà un’opposizione attiva, rigorosa, non di attesa.

Naturalmente chi ha interesse a che la nostra opposizione sia diversa deve far si che si stabiliscano nuovi rapporti tra governo e sindacati, tra governo e regioni, tra governo e cittadini, tra governo e parlamento, nell’ambito del quale non devono essere posti ostacoli ad una dialettica corretta tra maggioranza e opposizione. La maggioranza vuole ed ha una sua autonomia? Se c’è la manifesti, non è questo il punto. Il punto è se si vuole fare barriera ai contributi che vengono dalle forze popolari e che sono sempre più necessari, senza che ciò dia luogo a confusioni che noi per primi non vogliamo.

In ogni caso sia chiaro a tutti che la cosa a cui più teniamo è la nostra libertà di iniziativa e di lotta nel paese, è il nostro legame con tutti gli strati popolari.

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