All’opposizione nel Nome di Enrico

Cronaca dell’intervento di Achille Occhetto (7 giugno 1994, 10° anniversario dalla scomparsa di Berlinguer)

di Enzo Bianchin, La Repubblica, Mercoledì 8 giugno 1994, pagina 15


A dieci anni dalla scomparsa del leader del Pci una commossa commemorazione: ‘Il suo insegnamento non tramonta’. Così Occhetto ricorda Berlinguer

PADOVA – Non tramonta l’insegnamento di Berlinguer. Le sue intuizioni non sentono l’usura del tempo. I suoi moniti, aspri e severi, la sua sobrietà, la sua audacia, “straordinarie virtù”, “ci ricordano i compiti fondamentali”: “estrema determinazione” contro l’ uso aggressivo del potere, “risposte forti” contro il fascismo di ritorno, e “un nuovo rapporto politico con le forze cattoliche e laiche del riformismo moderato”.

Achille Occhetto ricorda Enrico Berlinguer nel decimo anniversario della morte. Parla, la voce spesso incrinata dalla commozione, su quello stesso palco, alla stessa ora, le nove e mezza della sera, in quella stessa piazza, piazza della Frutta, dove Berlinguer fu piegato da un ictus, durante un comizio, la sera del 7 giugno 1984.

Lo ascoltano in cinquemila, ci sono tante bandiere rosse e la musica che suona. “Un patriota, un uomo di Stato, un leader della Repubblica – lo ricorda Occhetto fra gli applausi – non un uomo di parte, ma un grande innovatore della democrazia italiana, il primo che pose in termini di sistema politico la questione morale”.

E aggiunge: “Un uomo integerrimo, un figlio dell’ Italia pulita, dell’ Italia migliore”, che veniva attaccato “in nome di quel politicantismo rampante, arrogante e ben remunerato che Craxi spacciava come lo strumento vincente”.

La lezione di Berlinguer, dice Occhetto, indica la strada in questo momento buio, in cui “profondo è il nostro assillo” e “sentiamo tutta la responsabilità nazionale che ne deriva”. Per questo il segretario del Pds dice che c’ è bisogno di rigore e di analisi, di una lotta severa contro il pressapochismo, e di una idea della politica meno superficiale e cinica di quella che Berlusconi ha ampiamente diffuso con il concorso dei suoi media: “Intrattenimento più uso aggressivo del potere”.

“Dichiariamo solennemente nel nome di Berlinguer – alza la voce Occhetto – che l’Italia che ha già subìto l’offesa di Tangentopoli non può uscire da quella fase con una visione così perversa e degenerata della politica e della vita pubblica. Ma di politica seria non se ne vede – aggiunge – anche Clinton ha detto che bisogna aspettare e vedere. Per ora si vede solo arroganza. E l’arroganza non basta per governare. Può solo isolare il nostro paese in Europa e nel mondo come è già avvenuto. Può intossicare gravemente la convivenza democratica”.

Occhetto è indignato perchè la Pivetti non vuole celebrare il delitto Matteotti e per quel che dice Fini sul fascismo: “Una vergogna. L’Occidente democratico e antifascista ha condannato queste posizioni. E colpisce tutti noi la messa in guardia che viene da Israele. Nessuno può fingere di dimenticare”. E aggiunge: “Questa volta li facciamo noi gli esami di democrazia al governo!”.

Occhetto ricorda i caratteri anticipatori della politica di Berlinguer, quel suo denunciare i fallimenti del socialismo reale, il suo contributo alla lotta al terrorismo, la “grande lezione” di moralità politica, lo sforzo di rinnovamento. Lezioni valide anche per il domani, per quel “compito gigantesco” che ha di fronte la sinistra italiana, per prevenire il declino del paese e dell’ Europa.

“Dobbiamo far maturare un’ opposizione forte, rigorosa, incisiva, contro gli orientamenti e le scelte della destra – dice – ma dobbiamo anche indicare con audacia la prospettiva di un’innovazione profonda. Dobbiamo liberare dai vincoli e dagli intralci del pregiudizio, dell’egoismo meschino, del corporativismo politico, le grandi risorse democratiche della società italiana. Ricordiamo che il 60% degli elettori ha negato il suo consenso alla destra”.

Di qui l’esigenza di costruire un nuovo rapporto politico con le forze cattoliche e laiche del riformismo moderato “mettendo al bando resistenze, inerzie e catastrofismi”.

La piazza grida “Enrico, Enrico“, come dieci anni fa, come quella sera.

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