E un giorno gli chiesi: “Ma Lei Crede in Dio?”

di Enzo Biagi, 14 giugno 1984, La Repubblica, pagina 7, Sezione: I Funerali di Berlinguer


NON sono molti i giornalisti che hanno intervistato Berlinguer. Non sopportava la notorietà, non incoraggiava gli aneddoti. Il colloquio aveva lunghe pause d’ imbarazzo.

Qualcuno lo descrive “schivo, probabilmente timido“: potete scorrere pacchi di ritagli ma le notizie sono scarse. Non risultano certe neppure le sue preferenze musicali: Wagner e Bach, pare.

Ad un cronista che cercava qualche nota di colore, un pescatore sardo che lo aveva conosciuto in tempi lontani disse: “Era un bambino serio, molto chiuso. Non rideva mai“.

Dodici anni fa parlai con Enrico Berlinguer, in un giorno di autunno, per quasi un’ora: e fu un incontro inconsueto. Si lasciò andare anche a qualche ricordo personale; e il fatto parve straordinario. Parlò della sua adolescenza, del sentimento di ribellione che c’ era in lui.

Era contro tutto: lo Stato, la religione, i luoghi comuni, le usanze sociali. Nella biblioteca di uno zio, socialista umanitario, scovò Bakunin: e si sentì anarchico. Poi, per lui borghese, e di origini nobili, ci fu la scoperta di un altro mondo: quello degli operai e degli artigiani, seguaci di Bordiga, che anche col fascismo conservavano i loro ideali.

Esercitavano su di me” confessava “un forte richiamo; c’era, nelle loro vicende, molta suggestione“. Conobbe Togliatti nel 1944, a Salerno: e glielo presentò il padre; erano compagni di liceo. Lo conosceva come Ercole Ercoli, o Mario Correnti, il nome che Togliatti usava ai microfoni di radio Mosca. Rievocò l’importanza dei sardi nella storia del Pci: Gramsci, Velio Spano e Togliatti anche, figlio di un economo dei convitti nazionali, trasferito nell’isola: “c’è ancora chi lo ha in mente” disse “come un giovanottino studioso, riservato, che non si occupava di faccende politiche“.

Tanto lui come Gramsci erano molto bravi a scuola, vinsero una borsa di studio, e si incontrarono all’Università di Torino. Togliatti si licenziò con tutti otto e nove ma, aggiunse Berlinguer “una sorella lo batteva“. Gli chiesi come se l’era cavata lui: “Normale” rispose, col solito impacciato sorriso “molti sei, qualche sette, pochi otto“.

A Salerno, aveva conosciuto anche Benedetto Croce di cui “per un periodo” disse “sono anche stato seguace“. Raccontava con qualche umorismo di averlo visto alla mensa del ministero delle Finanze, allora non c’erano macchine, non ristoranti e anche i collaboratori di Badoglio dovevano arrangiarsi, con gli impiegati, affrontando terribili pappette americane, e scatolette di carne stufata e fagioli.

Croce, se non è irriverente” disse “mi fece impressione per il buon appetito che dimostrava“. Si pentì subito: “Ma forse non è il caso di dirlo“. Gli chiesi quali concessioni i comunisti erano disposti a fare pur di arrivare al tavolo di palazzo Chigi; se si sarebbero accontentati, magari, anche di un sottosegretario alle Poste.

“Chiederemmo di sicuro qualcosa di più, ma che bisogno c’ è di entrare in un governo? Potremmo anche appoggiarlo standone fuori”.

Mi spiegò l’ evoluzione del partito, dei grandi entusiasmi, del dopoguerra, con la fede nell’Urss e in Stalin, e i dirigenti fuori da ogni critica, per il rispetto che si erano guadagnati nella lotta antifascista: “L’adesione al Pci è diventata più razionale, più credibile. I rapporti si sono fatti più mossi, il dibattito più libero. Non nascondiamo la nostra simpatia per l’ Unione Sovietica, ma neppure la nostra posizione, che non esclude il dissenso. In ogni caso il tipo di socialismo che si può e si deve costruire da noi è del tutto diverso. Ci sono alcune libertà, come quella di stampa, che hanno un valore assoluto. Ma bisogna che si creino anche i mezzi per renderle effettive. Anche le riforme economiche devono tener conto della particolare struttura dell’ Italia, dove non c’ è soltanto una grande borghesia e un proletariato, ma un ceto medio produttivo che va conservato, perchè in alcuni campi l’ iniziativa dei privati può giovare allo sviluppo dell’ intera società. Non saremo mai soli, ma saremo sempre con gli altri. Non siamo disposti a collaborare con tutti ma con coloro che si riconoscono in alcuni obiettivi comuni“.

Mi ripetè un vecchio discorso, sulle dittature che si sono instaurate nell’ Est: “Non esiste nessun partito che, per definizione, sia alieno dal prendere tutto il potere. Noi chiediamo una leale intesa con gli altri, e non posso dire Dio sa che sono sincero“. Obiettai: “Perchè no?“. “Perchè non sono credente“. “Sua moglie lo è?”. “Sì, lei crede“. “E i suoi quattro figli sono battezzati?“.

Non mi va di parlare di loro, che devono restar fuori, devono poter fare, liberamente, le loro scelte, senza alcun pregiudizio“. Queste cose Enrico Berlinguer me le disse nell’ ottobre del 1972. Ha rispettato quei fatti e quelle parole.

Non mi è capitato molte volte di riscontrarlo in altri.

 


Note sull’Autore: Enzo Marco Biagi (Pianaccio di Lizzano in Belvedere, 9 agosto 1920 – Milano, 6 novembre 2007) è stato un giornalista, scrittore e conduttore televisivo italiano. È considerato uno dei giornalisti italiani più popolari del XX secolo. Qui potete leggere la sua biografia.

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