I Meriti di Berlinguer

di Paolo Flores D’Arcais28 marzo 1987, MicroMega


ENRICO BERLINGUER non può divenire pretesto per mediocri regolamenti di conti. E poiché la polemica sulla sua figura e sulla sua politica è destinata a proseguire, è doveroso avanzare alcuni rilievi di metodo, e auspicarne il rispetto. Beninteso: la disputa è politica, non storiografica.

Riguarda dunque il passato ma non è affatto disinteressata, bensì apertamente legata alle scelte per il futuro. Proprio per questo, dunque, non deve in alcun modo configurarsi quale polemica obliqua. In altri termini: che si definiscano i peccati (quelli che, a seconda di ogni partecipante alla polemica, sono considerati gli errori da non ripetere), ma che si chiamino soprattutto con nome e cognome i presunti e viventi peccatori.

Berlinguer aveva dato largo spazio a una nuova leva di dirigenti, cui intendeva affidare le massime responsabilità nel partito. La successione, insomma. Achille Occhetto, Massimo d’ Alema, Walter Veltroni, per fare i tre nomi più autorevoli nelle tre diverse fasce di età. Del tutto legittimo che altri dirigenti comunisti contrastino tali scelte, che Natta sembra voler confermare. Contestazioni a viso aperto, tuttavia, senza tortuosità storiografiche, se lo stile vuole essere davvero nuovo rispetto ai nefasti del centralismo democratico.

Ma la discussione su Berlinguer, ecco un secondo aspetto da tener fermo, non riguarda solo il Pci bensì tutta la sinistra. E non solo la sinistra organizzata, partiti e sindacati, ma forse soprattutto la sinistra senza tessere e fedeltà, la sinistra che sta fuori dalle macchine di apparato, ma non intende affatto restare alla finestra.

Una sinistra oggi sommersa, ma da molti segnali intenzionata a tornare all’ impegno, una sinistra alternativa alla sinistra rampante e con essa incompatibile, una sinistra senza la quale la sinistra non sarà mai maggioranza. Una sinistra che ha molto da dire nel dibattito su Berlinguer, perché ha anche molto da rivedere rispetto a giudizi del passato e a prevedibili equivoci del prossimo futuro.

Berlinguer viene identificato con la questione morale. Ma non deve essere dimenticato l’altro caratterizzante tema berlingueriano, l’ austerità. Sono, entrambi, temi attualissimi, e cruciali proprio per una sinistra moderna. A patto di ricordare che, nella versione berlingueriana, essi finirono dissipati e sostanzialmente elusi. Una intuizione straordinaria e anticipatrice (che la sinistra deve assolutamente riprendere), finì nelle secche di una politica priva di sbocchi e sostanzialmente conservatrice, poiché quella intuizione poggiava sull’arretratissimo humus culturale rodaniano (il cattocomunismo, insomma).

UN DUPLICE giudizio, il mio, che risulterà sgradito a molti. Sul versante rampante, che ha in uggia moralità e austerità in qualsivoglia possibile accezione (e tanto più se capace di tradursi in politica moderna ed efficace). Sul versante, ormai variegato, delle ortodossie, poiché è il Berlinguer del compromesso storico, dell’ unità nazionale, della democrazia consociativa, quello che si intende rivalutare, in chiave tattica di ammiccamenti alla Dc e di rifiuto dell’ alternativa di sinistra.

Ma proprio quello che molti giornalisti hanno accreditato come il cucciolo di razza di Berlinguer, Massimo d’ Alema, ha opportunamente ricordato nei giorni scorsi un dato di fatto: il lascito di Berlinguer, il suo testamento politico, l’unica svolta strategica impressa da Berlinguer al partito, è proprio la scelta per l’alternativa, l’opposto della consociazione.

Rompendo una continuità storica che risaliva al rientro di Togliatti in Italia, a guerra non ancora conclusa. Proprio in vista dell’alternativa, di questa impegnativa novità strategica, austerità e questione morale diventano tematiche ineludibili e scelte politiche portanti.

Austerità può e deve esprimere, infatti, la maturata consapevolezza (da cui oggi la sinistra è ancora distante) che lo sviluppo conosce limiti sociali, e che la limitazione dello sviluppo va quindi assunta come prospettiva, come orizzonte in cui muoversi e nel quale promuovere una radicale rivoluzione di mentalità e di costumi.

Austerità vuol dire riconoscere il carattere perverso in termini di efficienza, di beni, di qualità dei consumi del consumismo privato abbandonato alla propria logica e alla propria dismisura. E il carattere ingannevole della cosiddetta sovranità del consumatore. L’ingorgo del traffico, l’ habitat espropriato dal sacchetto di plastica, il cibo adulterato, sono il contrario dell’ austerità ma anche della libera sovranità di ciascuno.

Austerità e individualismo, insomma, possono andare perfettamente d’accordo. Di più. Il fallimento politico delle intuizioni berlingueriane va fatto risalire proprio all’incapacità di tradurre austerità e questione morale nei termini di una cultura incentrata sull’esistenza del singolo quale soggetto privilegiato. Unico soggetto autentico, anzi. Epperciò da privilegiare.

In questa chiave, che certamente rompe con le tradizioni marxiste, ma apre alla possibilità di una critica dell’ esistente niente affatto più edulcorata o accomodante, la centralità della questione morale può dispiegare tutto il suo potenziale politico. Purché si rispettino talune condizioni.

Vediamole.

SONO da evitare, intanto, proposte controproducenti (vere e proprie asinerie, benché in buona fede) quali il collegio uninominale, che consegnerebbe nuovo potere in mani locali e inquietanti (i signori della Usl di Locri o del Banco di Calabria, per esempio, e altri plurinquisiti). Il potere dei partiti resterebbe intatto, e semplicemente si dislocherebbe dai vertici nazionali ai padrinati locali. Operazione in secca perdita, a meno di non considerare Teardo migliore di Craxi e Ciancimino preferibile a De Mita.

Sono invece da riproporre, o da studiare e inventare, tutte le misure atte a rendere trasparente la circolazione della ricchezza. Il segreto bancario non era tabù, per la sinistra, all’epoca del centro sinistra. Da allora, molti passi (indietro) sono evidentemente stati fatti. E si tratta, soprattutto, di avere il coraggio di incidere nel bubbone che alimenta quotidianamente la questione morale: il potere improprio dei partiti.

Proprio ciò che il Pci non ebbe la forza di proporre in epoca berlingueriana, ma che costituisce l’abc di ogni politica che la questione morale intenda affrontare seriamente. Un esempio: coerenza sarebbe se il Pci proponesse la formazione di nuove maggioranze (di programma!) in tutte le Usl, attorno alla decisione di nominare amministratori assolutamente estranei ai partiti, e scelti esclusivamente in virtù delle capacità tecniche e manageriali. La famosa rivoluzione copernicana (i programmi che prevalgono sugli schieramenti) si salderebbe con la questione morale e con le necessità del cittadino.

Riscoprire Berlinguer, insomma, è operazione che può svilupparsi sotto costellazioni assai diverse. Riscoprirlo criticamente, fuori dai tatticismi come dalle esigenze celebrative, può aiutare la sinistra a riorganizzarsi quale partito della legalità e del cittadino. Una sinistra futura, allo stato dei fatti. Per la cui nascita, tuttavia, potrebbe essere perfino entusiasmante impegnarsi.

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